Nel Giorno della Memoria, è bello ricordare la vita di Arpad Weisz, grande allenatore dell’Inter (Ambrosiana) e del Bologna tra il 1929 e il 1938.
Nato in Ungheria da famiglia ebrea, cresciuto calcisticamente in Italia tra l’Alessandria e l’Inter. Outsider per definizione, almeno nel panorama calcistico dell’Italia degli anni ’30, ancorato al volere del Partito Fascista che non vedeva di buon occhio stranieri, tanto meno se slavi ed ebrei. Alieno in questo mondo, mondo che si piegherà poi alle sue intuizioni geniali, rivoluzionarie. Nel 1930 vince lo Scudetto con l’Ambrosiana. La vittoriosa campagna della squadra di Weisz non è frutto del caso: Arpad applica alla sua squadra metodi di allenamento moderni, cura le loro diete, introduce i primi ritiri e visiona in prima persona il settore giovanile. Proprio qui, in una delle operazioni di scouting, scopre Giuseppe Meazza, futura stella del calcio italiano e capocannoniere del campionato 1929/30. Il suo modo di allenare sarà seguito fino agli anni ’60.
Dopo alcune stagioni poco esaltanti tra Bari e Novara, nel gennaio 1935 approda al Bologna di Renato Dall’Ara. Sesto posto il primo anno, vittoria nella stagione successiva. Trionfo che sa di impresa: con solo 14 giocatori a disposizione sbaraglia la concorrenza della Juventus, che veniva da 5 anni di dominio incontrastato.
Qui finisce la vita calcistica di Arpad Weisz.
Sembra che ad oggi il suo nome sia andato completamente dimenticato, e insieme ad esso la sua parabola ascendente fatta di vittorie e successi. E’ d’obbligo chiedersi perché.
Il 1938 è uno degli anni più bui della storia italiana: all’apice del consenso e del controllo della dittatura, Mussolini, col placito accordo di Vittorio Emanuele III, emana le Leggi Razziali, in un tentativo, becero e rivelatosi poi inutile, di guadagnarsi la fiducia di Hitler. Arpad è ebreo, e in quanto tale sottoposto alle Leggi. In un giorno si ritrova straniero nella patria natia, l’Ungheria antisemita dell’ammiraglio Horthy, e nemico nella patria adottiva, l’Italia fascista.
E’ costretto ad abbandonare l’Italia, rifugiandosi a Dordrecht, in Olanda. Viene aiutato dal presidente della piccola squadra locale. Qui si toglie le ultime soddisfazioni da allenatore, battendo squadre come Ajax e Feyenoord.
Nel frattempo, l’Olanda è stata invasa dalla Germania nazista. Arpad viene fatto prigioniero dalla Gestapo e deportato prima a Westerbork, poi ad Auschwitz, dove, dopo 15 mesi di lavori forzati, viene ucciso in una camera a gas il 31 gennaio 1944. Aveva 47 anni.

Matteo Marani scrive: “Fatto sta che di Weisz, a sessant’anni dalla morte, si era perduta ogni traccia. Eppure aveva vinto più di tutti nella sua epoca, un’epoca gloriosa del pallone, aveva conquistato scudetti e coppe. Ben più di tecnici tanto acclamati oggi. Sarebbe immaginabile che qualcuno di loro scomparisse di colpo? A lui è successo.”

Martino Probo